Avere 13 anni: disagio relazionale e sociale, la paura, il dolore

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Negli ultimi dieci anni ho avuto modo di conoscere in modo diretto il disagio di un discreto numero di preadolescenti, alunni e alunne (in prevalenza alunne) delle scuole medie. Distillando le voci più frequenti, i disagi più spesso espressi, credo di poter sintetizzare i contenuti del disagio stesso in alcune frasi-tipo:

  • Gli altri non mi amano quanto io amo loro. Io non sono importante per loro quanto loro lo sono per me. Io non valgo niente, non sono niente, non servo a niente.
  • L’unica persona degna di esistere è una persona bella, in forma, intelligente, brillante, simpatica, amata da tutti, mai triste, sempre sorridente. Ma soprattutto: non sono io.
  • Non mi piace niente di me. Il mio corpo è brutto. Pieno di difetti.
  • Mi amerai lo stesso quando vedrai come sono davvero? Come potrai amare tutte le cose brutte e difettose che ci sono in me? Chi mai potrebbe farlo? Nessuno.
  • Come si fa a sopportare le cose che finiscono, le persone che si perdono, i cari che vanno via per sempre, come si fa a sopportare che i legami non siano per sempre?

La reazione più diffusa a questi vissuti è la chiusura in sé, il pianto, la distrazione perseguita con Smartphone e altri vari mezzi telematici ed elettronici; diffusa la pratica di farsi piccoli tagli sulla pelle delle braccia. Il dolore fisico che ne deriva assume un duplice significato: lenisce (un poco) il dolore mentale spostandolo su uno stimolo fisico più forte e sembra marcare, quasi punire la persona come “sbagliata” e “colpevole” del suo dolore.

Le figure genitoriali sono viste alternativamente come ombre lontane, indifferenti, che non provano interesse per le figlie, o come giudici arrabbiati, ostili e talvolta fisicamente punitivi, e pressoché mai come una risorsa positiva. Molti di questi ragazzi e ragazze vivono una solitudine senza fondo e senza sollievo. Senza riscatto.

Grafico 1

Il tema profondo, il nucleo comune che sembra stare alla base di tutto, è il bisogno di essere amati, la paura di non esserlo, la difficoltà di creare dei legami e di accettarne la finitezza.

Vediamo nel grafico 1 l’insieme dei temi emersi (considerando che assai spesso un individuo porta più temi in colloquio), e nel grafico 2 l’incidenza dei singoli temi sull’insieme dei soggetti. Come si vede, il nucleo comune, evocato esplicitamente da quasi 7 ragazzi su 10, occupa il maggior spazio accanto al tema correlato e affine delle difficoltà relazionali con i coetanei e con i pari; anche laddove non veniva espresso direttamente, comunque, quel nucleo comune era, in filigrana, pressoché sempre presente. Le altre quattro tematiche emerse assorbono meno di un quarto delle segnalazioni.

Grafico 2


Spicca, in modo più evidente nel grafico 2, che un sesto dei soggetti che hanno partecipato fosse alle prese con una difficile elaborazione di un lutto familiare, quasi mai recente. Fa riflettere su quanto indifesa questa generazione si possa trovare di fronte alla perdita di persone care, e in generale alla finitezza dei legami affettivi, e ci si chiede se la generazione dei loro genitori non lo sia altrettanto.

Quest’opera di Franco Nanni è stata rilasciata con licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Condividi allo stesso modo 3.0 Italia.