Docenti e genitori, Pubblici Ministeri e avvocati difensori?

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E… se la smettessimo?

Ci sono relazioni umane che si alimentano soprattutto nella frequentazione fisica faccia a faccia dei partecipanti. La relazione tra docenti e genitori vive al contrario in una dimensione in cui il rapporto vis à vis è quasi sempre del tutto episodico: ciascuno è libero di immaginare l’altro con narrazioni e aspettative molto personali. 

Il genitore immaginato

Cominciamo dunque dal domandarci: chi è il genitore narrato dalla mente del docente? L’insegnante, schiacciato da condizioni di lavoro sempre più complesse, dedica ai genitori una grande aspettativa, quella di una loro stretta, assoluta collaborazione che possa alleviare lo stress e la fatica. “Collaborazione” si traduce spesso in totale adesione ai valori e desiderata del docente, assai meno in cooperazione paritaria. Una aspettativa così grande va incontro a inevitabili delusioni, ma, se non sono troppe, è ancora possibile che docenti e genitori collaborino a partire dai rispettivi ruoli per una buona maturazione dei loro figli e alunni. Non è raro però che il docente si senta del tutto solo e inascoltato: ecco che allora i genitori vengono da lui immaginati come i “mandanti morali” delle malefatte dei figli, la causa primaria delle manchevolezze dei bambini, oppure pigri nullafacenti che lasciano i figli senza regole né disciplina. A volte vengono descritti come “sindacalisti” o “avvocati difensori” dei propri figli. Che ciò abbia o meno una corrispondenza con la realtà, questa forma del discorso racconta una relazione con i genitori intesa come conflitto o addirittura come aula di tribunale. In quest’aula ad essere sotto accusa sono per lo più i genitori, e la relazione in absentia si traduce in un processo in contumacia dove il docente, o addirittura la scuola stessa assume il ruolo di Pubblico Ministero. Per quanto ciò avvenga nella buona fede del superiore interesse dei minori, è bene ricordare che costoro ricavano da questi processi nulla più che ulteriori tensioni, e le relazioni scuola-famiglia divengono ancora più difficili. Il frequente ricorso ad avvocati da parte della famiglia è forse un triste sintomo di questa tendenza.

Il docente immaginato

Come è rappresentato il docente nelle narrazioni personali dei genitori? La maestra, specialmente per i più piccoli, può essere sentita da mamme e papà come un improprio sostituto di sé, che vive tanto tempo con il loro bambino, un tempo che sentono negato a sé per gli orari lavoro o per altre ragioni, provando così un misto di invidia e rivalità. Quando i figli sono più grandi l’insegnante pone maggiori richieste cognitive, e può assumere aspetti persecutori, quasi vampireschi, o viceversa venire idealizzato, a seconda del mondo emotivo dei genitori con cui si confronta. Il docente dovrebbe considerare naturali tutti questi vissuti, riconoscendoli con empatia e mostrando cura e attenzione per le preoccupazioni genitoriali: riceverà da loro più rispetto e considerazione.

Il docente “eroe solitario”

Vedo sempre più spesso insegnanti che parlano e agiscono come se fossero in una roccaforte sotto assedio, oppure su una zattera tra i flutti, investiti del ruolo eroico di difendere un pugno di valori minacciati dall’estinzione, raccolti intorno a qualche parola d’ordine: studio, cultura, regole, disciplina, rispetto, e così via. Quando è dominato da questo genere di narrazioni il docente rischia di mettere in atto modalità relazionali e stili di pensiero reattivi che portano ad agiti impulsivi; ne è un tipico esempio quello di riferire senza filtro ogni giorno al genitore le “malefatte” del figlio di fronte al bambino stesso. Si tratta di modalità di azione prevalentemente difensive e rigide su cui è bene vigilare poiché nuocciono alla qualità del rapporto con le famiglie e aumentano il rischio di stress e burnout. 

“A casa non lo fa”

Se il docente denuncia un determinato comportamento problematico dell’alunno, accade di frequente che i genitori rispondano “a casa non lo fa” oppure “con noi è bravissimo”. Per lo psicologo la cosa non è sorprendente, poiché il bambino, essere fortemente contestuale, manifesta normalmente comportamenti diversi e divergenti nei vari contesti di vita. Se anche il docente partisse da questo assunto, potrebbe motivare il genitore a considerare credibili le sue osservazioni, rassicurandolo anche sul fatto che non è in discussione il suo operato. Da qui può partire una autentica cooperazione per comprendere quali aspetti favoriscano nel bambino una condotta piuttosto che l’altra.

Promuovere buone relazioni

Quali possono essere dunque le azioni preventive per contenere il peso delle tante narrazioni reciproche? Iniziare ogni nuovo anno con un incontro non troppo formale dove famiglie e insegnanti possono parlarsi è già un primo passo, purché non si limiti a una mera enunciazione di doveri, richieste e obblighi. Anche in corso d’anno è opportuno curare soprattutto i contatti diretti e verbali con i genitori, possibilmente faccia a faccia, limitando allo stretto necessario le comunicazioni unidirezionali (lettere prestampate, avvisi, circolari ecc), a favore di comunicazioni bidirezionali ad alta reciprocità: il genitore si sentirà tanto più motivato a una reale collaborazione con il docente se avvertirà verso di sé un atteggiamento di ascolto e di attenzione. 

Articolo originariamente pubblicato sui rivista cartacea del gruppo Giunti.