Da diverso tempo ormai si assiste a una crescente e generalizzata insofferenza per la presenza dei genitori nella scuola. Si sono ad arte enfatizzati episodi di intrusioni e aggressioni (in definitiva estremamente minoritari) per legittimare la malcelata voglia di espellere i genitori dalla scuola. È stato osservato criticamente che la scuola ha trasformato i genitori in clienti ai quali si deve dare sempre ragione. Il messaggio che tende a passare sempre di più è che i genitori dovrebbero starsene alla larga perché a scuola si lavora e il lavoro che avviene a scuola riguarda soltanto la scuola. E invece no, assolutamente no: quello che avviene dentro la scuola riguarda tutti, genitori, nonni, cittadini e Stato, ci riguarda tutti perché lì nascono nel bene e (oggi soprattutto) nel male i cittadini di domani. Ritengo che questa tendenza ormai consolidata sia uno dei segnali del decadimento progressivo (e temo irreversibile) della nostra società.
Forse giova ricordare che i genitori, nella scuola, ci sono entrati da cittadini grazie ai cosiddetti decreti delegati della scuola emanati nella prima metà degli anni settanta. Lo spirito era quello di dare alla scuola i caratteri di una comunità che interagisce con la più vasta comunità sociale e civica (art. 5 L. 477/73) nell’ottica di una effettiva attuazione dei principi della costituzione della Repubblica Italiana concernente la scuola statale italiana.
Non suoni denigratorio o ridicolo ma il messaggio che voglio leggere nello spirito delle leggi di quell’epoca era che la scuola fosse una cosa troppo seria, troppo importante e centrale nella vita di uno Stato per essere demandata soltanto agli insegnanti.
Se è vero, come tanti fingono di dimenticare, che lo scopo della scuola è prendere a prestito dei piccoli bambini e restituire alla società uomini e donne dotati di capacità di pensiero e di critica, diviene chiaro che con i decreti delegati i genitori entrarono nella scuola non da rompiscatole ma da titolari di un diritto di partecipazione a quel nucleo delicatissimo e fondamentale di una società che è la scuola.
La voglia di espellere i genitori da quel luogo è a mio parere parte di una tendenza più vasta, purtroppo ben evidenziata dall’ultimo rapporto Censis, una diffusa voglia di autoritarismo, antidemocratica, sbrigativa e cinica. La trasformazione dei genitori in clienti rappresenta un problema reale, ma è figlio di una aziendalizzazione della scuola di ben altra provenienza. Siamo tutti purtroppo ben consapevoli dello svuotamento di senso subito dagli organi collegiali della scuola così come da altre istituzioni della Repubblica come il Parlamento, argomento vastissimo su cui qui taccio.
Su una cosa però non posso tacere: i genitori nella scuola dovrebbero sentirsi non a casa in pantofole, ma nella piazza del mondo, della società e della cittadinanza, dunque esistono pretesti ma non ragioni serie per vagheggiare la loro espulsione. Non posso tacere sul fatto che questa espulsione è parte di un mosaico molto più grande che ci racconta il degrado marcescente delle democrazie occidentali così come il secondo dopoguerra le aveva pensate.