Il Ministro Fioramonti si è espresso di recente in modo critico sulle prove Invalsi, assumendo una posizione che in linea di principio condivido. Naturalmente alle parole si auspica che possano seguire i fatti, il che, in politica, non è mai scontato. Rilancio: l’Invalsi così come è andrebbe semplicemente smantellato e rifondato da zero. In questa rifondazione occorre coinvolgere professionalità certe, pertinenti e articolate nelle varie aree di intervento. Esperti di psicometria potrebbero impostare in modi metodologicamente corretti le modalità di somministrazione e gli algoritmi usati per giungere ai risultati. L’Istat potrebbe dare un contributo ineguagliabile nel soppesare bene le determinanti socioeconomiche che possono favorire o penalizzare ciascuna scuola, variabili che ora vengono acquisite sulla base di dati completamente inaffidabili. Un istituto di valutazione della qualità scolastica dovrebbe, al pari della Magistratura e di altre Istituzioni, essere al riparo da condizionamenti politici di qualsivoglia genere, e godere quindi di ampie, esplicite e normative garanzie di indipendenza. Non dovrebbe, infine, fornire solo analisi ex post, ma a partire da esse dovrebbe costruire e implementare ipotesi credibili e validate per produrre miglioramenti, anche attraverso specifiche equipe pedagogiche.
Da diversi anni sta avanzando in moltissimi Paesi industrializzati un insieme di modalità di gestione dell’istituzione scuola che è stato analizzato e ben sintetizzato da uno studioso finlandese, Pasi Sahlberg. Egli ha anche coniato un’espressione complessiva per definire questo insieme: Global Education Reform Movement (GERM), contraddistinto da una serie di provvedimenti destinati soprattutto a modificare il modo in cui la scuola stessa debba essere intesa e sviluppata come istituzione:
- Competizione tra scuole su diversi piani:
- Valutazione delle prestazioni degli studenti (in Italia le prove Invalsi, ma anche Ocse-Pisa e Tims)
- Enfasi sull’offerta formativa secondo un modello di “mercato”
- Trasformazione dei genitori in “consumatori” attraverso la moltiplicazione (per lo più fittizia) di alternative di scelta formativa
- Forte responsabilizzazione dei docenti rispetto ai risultati ottenuti nelle prove standard.
Va sottolineato il forte carattere manipolatorio e ideologico di quest’ultimo aspetto: “responsabilità” (nell’articolo originale: accountability) è universalmente ritenuta una bella parola, nobile e giusta, tuttavia qui è subdolamente utilizzata in modo distorto, nel momento in cui intorno ad essa scompaiono le nozioni di contesto e di risorse, e gli insegnanti sono chiamati a produrre risultati migliori con incremento di risorse nullo, ignorando per di più il contesto sociale, economico e culturale in cui essi operano. Una scuola di Quarto Oggiaro o di Scampia è di fatto equiparata a una scuola ubicata in un quartiere benestante di Milano o di Roma, poiché tutti i loro studenti dovranno affrontare le medesime prove Invalsi attraverso le quali poi le loro docenti e infine le loro scuole saranno valutate. Si è cercato di porre rimedio misurando alcuni parametri socioeconomici e culturali, ma con mezzi enormemente al di sotto di ogni standard di affidabilità, il che rende risibile l’idea, pur in sé apprezzabile, di “valore aggiunto”. Se si volesse seriamente affrontare la cosa, ci sono fior di statistici in grado di offrire il loro know how, e perché mai non rivolgersi all’Istat, una istituzione pubblica che, nonostante i tentativi di piegarla ai desiderata politici, è ancora una eccellenza?
Se si vuole seriamente parlare di valutazioni della qualità scolastica, non si possono trascurare gli aspetti di qualità psicometrica: le prove Invalsi sono o non sono in grado di fornire risposte positive a questa serie di quesiti?
- Il test è idoneo a misurare proprio ciò per cui è stato concepito? (Ad esempio i punteggi ottenuti in un problema di aritmetica con un testo complicato potrebbero misurare più la comprensione del testo stesso che non le abilità matematiche)
- Disponiamo a priori (cioè prima della somministrazione vera e propria) di statistiche su campioni rappresentativi tali da fornirci i parametri della cosiddetta distribuzione normale dei risultati intorno a una media e con una deviazione standard?
- Il test è comparabile con altri meglio collaudati, e fornisce risultati sovrapponibili?
- Il test è adeguatamente sensibile al contesto in modo da non misurare variabili spurie? (ad esempio potrebbe misurare assai più lo status culturale delle famiglie di origine che le abilità acquisite grazie alla scuola).
Le informazioni di cui dispongo mi fanno temere che queste risposte non ci siano, o siano insufficienti. La sensazione che ne deriva è che le prove Invalsi siano poco più che un costosissimo Rischiatutto tramite il quale stabilire, per di più con criteri poco trasparenti, chi ha fatto meglio di chi, quali scuole siano meglio di altre, insomma una emozionante gara che sul piano pedagogico, didattico e psicometrico non significa un bel nulla.
L’altro aspetto ideologico è la scissione totale tra valutazione ex post e pratica didattica: per una scuola, o un team, che i risultati siano buoni o scarsi, non sappiamo nulla di come sono stati ottenuti, e dunque non sappiamo nulla di cosa dovremmo fare per migliorarli.
La miglior prova di questo vuoto è il fatto che troppi docenti non sanno inventarsi altro che somministrare alle scolaresche tante prove ricavate da test Invalsi di anni precedenti per “allenarle” a… saper fare le prove Invalsi stesse! Come Sahlberg riassume bene:
…standardized testing has increased teaching to the test, narrowed curricula to prioritize reading and mathematics, and distanced teaching from the art of pedagogy to mechanistic instruction.
(P. Sahlberg, How GERM is infecting schools around the world, Washington Post 29.06.2012)
(I test standardizzati hanno aumentato l’insegnamento mirato ai test, ristretto i curricula per dare priorità alla lettura e alla matematica, e allontanato l’insegnamento dall’arte della pedagogia per avvicinarlo all’istruzione meccanicistica.
Dopo esserci chiariti che cosa stiamo misurando, e con quale affidabilità, viene il momento di capire anche a che scopo misuriamo: che cosa significa misurare il livello degli apprendimenti se poi non ci sono strumenti e risorse per modificare le situazioni rivelatesi carenti? Come esemplifica con schiacciante logica Sahlberg, “oggi il governo finlandese investe 30 volte di più nello sviluppo professionale dei docenti e amministratori che non nel testare le prestazioni dei suoi studenti nelle scuole.”
Ormai da decenni la scuola viene fatta oggetto di “riforme” senza sapere in modi epistemologicamente attendibili che effetti abbia tutto ciò sulla vita degli alunni e sulla loro qualità di vita e di apprendimento. Gli esperti faticano enormemente a farsi anche solo ascoltare da chi queste “riforme” propone, e spesso non vengono nemmeno consultati, a meno che, naturalmente, non siano cortigiani e “consiglieri del re”.
L’ennesima ideologia nascosta nelle pieghe della “istituzione Invalsi” è infatti quella di non esprimere alcuna istanza critica sulle scelte di politica scolastica, essendo essa stessa un prodotto di quelle scelte, quando invece una istituzione seria, che rispecchi una elementare divisione dei poteri, dovrebbe richiedere una certa accountability anche e prima di tutto ai politici, agli amministratori centrali e ai pedagogisti estensori di programmi e obiettivi, anziché pretenderla solo dal corpo docente come se fosse dotato di infiniti mezzi.
Credo di aver spiegato perché penso che l’Invalsi debba essere chiuso e rifatto da capo su ben altri presupposti.