La caduta del muro in psicoterapia e … una cosa divertente che non farò mai più

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Scrivo queste righe non certo per aggiungere una insignificante recensione alle tante illustri e prestigiose che questo libro ha già ricevuto, ma per invitare amici e colleghi a una lettura straordinaria e per molti versi insolita e coinvolgente.

È in atto un cambiamento radicale nel modo di fare psicoterapia: è caduto il muro tra psicanalisti, cognitivisti, comportamentisti, lavoro sul corpo, tutte distinzioni che nei luoghi nuovi delle pratiche psicoterapeutiche sono ormai archeologia. In questo romanzo-saggio articolato su più livelli troviamo: una storia della psicoterapia vista da un’angolazione non conformistica, una narrazione romanzesca su un paziente difficile, sofferente e difeso, e una dimensione autobiografica dolorosa, quasi un romanzo di formazione. Poi si aggiunge la parte essenziale, un meta-livello che introduce in modo vivo e partecipato un modo di fare terapia capace di produrre cambiamento anche nelle situazioni difficili, senza negarne o dissimularne la fatica. Un modo che sempre più sta diventando anche il mio. Sempre più spesso il paziente lascia la poltrona, assume posture diverse, rivive a occhi chiusi esperienze che lo hanno segnato, scopre emozioni prima nascoste che hanno condizionato tanti suoi gesti e tante sue scelte, e finalmente inizia a scrivere pagine nuove nel corpo e nella mente.  Il muro caduto non è solo quello tra scuole di pensiero, ma quello che impedisce in tanti pazienti un vero cambiamento, che può accadere solo coinvolgendo la loro storia, i loro circuiti cerebrali e la loro memoria motoria ed emotiva. Questo è in definitiva il motivo principale per cui invito colleghi e amici cultori della materia a leggere questo libro straordinario, ma non l’unico.

La sfida impossibile di combinare letteratura e saggistica in un’unica opera è perfettamente riuscita: si sente l’eco di un D. Foster Wallace talvolta divertito, talvolta doloroso e crudo. Parafrasando un suo titolo celebre, potremmo dire che questo libro parla di una cosa divertente che potremmo non fare più: sederci davanti al paziente (o dietro), e parlare, parlare, parlare. Il corpo e il sistema nervoso intero non possono più essere lasciati fuori dallo studio, e d’altro canto coloro che già lavoravano sul corpo possono ora basarsi su assunti ben fondati al posto di quelli precedenti, nati da intuizioni talvolta geniali ma del tutto immaginifiche e senza basi empiriche. 

Siamo entrati in un’epoca in cui si sta delineando gradualmente una scienza della psicoterapia, anche se uso malvolentieri questo termine che sa di camici bianchi e laboratori, e ricorda un po’ le scatole dove Skinner metteva topi, piccioni, e perfino sua figlia. Anche queste ricerche, come i testi di Freud, fanno ormai parte della storia, o dell’archeologia, ma certo non più del razionale oggi utilizzabile come tale. Si può parlare di una scienza, non certo esatta, ma assolutamente umana come non mai, e che contatta tutte le categorie dell’umano servendosi anche di evidenze, ricerche e validazioni sul campo. Fa sorridere pensare che fino a poco tempo fa ci si poteva porre il problema se dare la mano al paziente o no. 

In chiusura aggiungerei una modesta proposta: questo è un libro che dovrebbe avere cittadinanza nelle lauree magistrali in psicologia clinica, magari sostituendo l’ennesimo volume che ripercorre, come fossero le tabelline, le categorie del DSM 5, e mettendo al suo posto un testo che rappresenta concretamente la possibilità che questo lavoro possa riempire (e cambiare) una vita.