Disturbi psichiatrici, omicidi e raptus: gli ultimi due casi di una lunga serie stanno già scomparendo dalle cronache, soppiantati dall’inflazione e dal corretto uso dell’articolo maschile. Eppure una riflessione sarebbe necessaria:
- Il servizio sanitario ha mezzi idonei e sufficienti per gestire persone con pregressi e/o conclamati problemi psichiatrici con aspetti aggressivi?
- La qualità della loro vita quotidiana dipende sostanzialmente dalla presenza e dai mezzi di famiglia e/o dei congiunti?
- Si considera seriamente il ruolo della solitudine del favorire decorsi infausti nel disturbo psichiatrico?
Se la prima risposta somiglia a un “no”, la seconda diventa un “sì”, e la terza un tragico NO. La psichiatria pubblica ha come azione principale (quando non anche unica) la terapia farmacologica, che certo, può ipoteticamente contenere l’aggressività, ma con notevoli effetti collaterali e nessuna vera garanzia, sia per i limiti intrinseci delle molecole stesse, sia per il rischio di assunzioni disordinate o interrotte, il che può talvolta anche favorire accessi violenti.
Cosa può fare, ad esempio, una coppia di genitori ultrasettantenni con una modesta pensione per gestire un figlio di 40, 50 anni con gravi disturbi psichici? E che cosa può una moglie con uno o due figli piccoli e un marito con simili problemi? Tanto, rispetto alle loro forze, ma terribilmente poco rispetto alla bisogna.
Questa è la solitudine dei numeri zero, degli ultimi. Queste persone sole, trattate con farmaci che assumono anche disordinatamente, rischiando scompensi e malattie, che vagano nel mondo come monadi agitate da tristezza, rabbia e disperazione.
Foto di Nadezhda Moryak: https://www.pexels.com