Quasi non passa giorno senza imbattersi in notizie che parlano di fenomeni di punta altissimi e lontanissimi dalla media della popolazione. La cosa si riscontra in ogni campo: possiamo trovare un quindicenne che già gareggia nelle MotoGP riservate agli adulti, possiamo trovare una ventenne che ha già pubblicato quattro romanzi successi internazionali, oppure un dodicenne che già collabora con un dipartimento di ricerca in biologia molecolare. Perché no, un direttore d’orchestra quattordicenne. Siamo una civiltà con il turbo: ci piace molto alimentare queste cosiddette eccellenze, non ci basta prenderne atto, le cerchiamo, le titilliamo, le spingiamo sempre più su.
Che questi fenomeni possano essere in crescita nella nostra attuale società non dovrebbe stupire: cervelli eccezionali ce ne sono sempre stati nella storia dell’umanità e oggi gli strumenti informatici a disposizione possono mettere il turbo a questi cervelli spingendoli verso una elevata performatività.
Perfino nella scuola ci siamo abituati ad avere attenzione per le cosiddette eccellenze, identificate in bambini ritenuti troppo intelligenti per uniformarsi ai ritmi di apprendimento comuni senza provare una noia mortale. Da qualche tempo abbiamo anche laboratori universitari deputati a riconoscere i plusdotati. Accade non di rado che il loro comportamento in classe sia problematico, ma sembra più confortante per tutti stabilire che si tratta di alunni con il turbo-cervello piuttosto che con il cervello turbato, e forse bisognosi di maggiori e diverse attenzioni.
Un altro effetto perverso di questo nostro vezzo di spingere verso l’alto le eccellenze si verifica con la massa dei cosiddetti “normali” soprattutto in età evolutiva: sbattiamo loro in faccia senza mediazioni il fatto che un loro simile, e coetaneo, possa giungere a risultati del genere e perfino facilmente. Quel modello irraggiungibile finisce con porre in una condizione di povertà e limitatezza (percepite) chiunque non rientri in quegli standard. Che effetto può avere sulle menti delle giovani generazioni sapere che un loro coetaneo, ancorché molto, molto intelligente, può ambire a posizioni così alte?
La civiltà del turbocapitalismo non si limita a premiare le eccellenze vere e proprie, ma coltiva anche altre forme di crescita esponenziale. Un esempio sopra tutti è quello dei cosiddetti youtuber e dei maghi del profilo Instagram. Che effetto fa sulle giovani menti pensare che un loro coetaneo, ottimisticamente normodotato, ma furbetto e fortunato, sparando c**ate o mugolando davanti a una webcam può avere milioni di seguaci e un discreto fiume di denaro per le sue sponsorizzazioni? Che razza di modello può rappresentare?
Infine: temo stiamo spingendo milioni di giovani menti a trascurare di coltivare le loro normali, umane e concrete capacità, per sognare di essere creatori di una startup milionaria o inventori di una app che li farà diventare ricchi e famosi. Forse potremmo piantarla con la impropria e a volte stomachevole agiografia di personaggi come Steve Jobs e Mark Zuckerberg, che rappresentano benissimo sé stessi, ma non sono modelli funzionali a un sano sviluppo?