Le bolle didattiche e il fervorino della fuffa

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Il servizio sulla scuola superiore italiana nella trasmissione Presa Diretta (28/2/20) voleva essere una rassegna di eccellenze da imitare, ma il risultato è stato paradossale, e tutto interno alla logica neoliberista che permea ormai ogni ambito della nostra malconcia società: una interminabile e ripetitiva sfilata di siparietti con entusiasti venditori che si producono nel loro fervorino del momento, animati da una fede esclusiva in un qualche sistema di fare scuola che diventa subito brand, necessariamente in inglese. Il vizietto è presto svelato:

qualunque pratica, magari la più antica e ovvia, cambia aspetto e diventa sexy se tramutata in un brand anglofono. Vuoi mettere un sit & learn con un “stai seduto e impara”? Tutta un’altra cosa. Se mando i bambini in giardino è roba vecchia, ma vuoi mettere l’outdoor education? 

Così, dalla singola scuola alle fonti ministeriali, è un fiorire di fervorini che brandizzano l’ovvio e lo erigono a sistema. Non critico le singole pratiche o idee didattiche, anche perché in questa rassegna si è visto davvero di tutto, e tutto giustapposto come farebbe un venditore da spiaggia che ti squaderna le collanine sull’asciugamano. Il problema è la loro trasformazione in brand  toccasana per svecchiare la didattica, creando delle bolle speculative intellettuali che prosperano e scompaiono nel giro di alcuni mesi o al massimo qualche anno. 

Cosa resta di tutto ciò? Macerie, in definitiva. O meglio, resta quel che c’era prima: esseri umani che cercano di far crescere e apprendere altri esseri umani. Se dovessimo, con amara ironia, trasformare ciò in un ennesimo brand, lo chiameremmo human being learning: persone semplicemente vere che stanno in classe senza fervorini, e usano l’unico strumento dotato di un software, udite udite, superiore all’intelligenza artificiale: l’intelligenza umana.

Perché allora tante critiche a questo tentativo di pubblicizzare esempi virtuosi? Perché rischia di farci dimenticare che primi e i principali strumenti di lavoro, per chi insegna, sono la propria mente e più in generale il proprio sistema mente-corpo. Anche un parrucchiere o un chirurgo fondano la loro azione su capacità divenute parte del proprio sistema mente-corpo, laddove altri strumenti (forbici, bisturi, ecc.) ne sono soltanto estensioni. Anche a scuola l’intervento attivo e costante del docente determina il risultato finale assai più delle risorse materiali o tecnico-didattiche utilizzate; il ruolo di queste ultime non è irrilevante, ma viene dopo l’apporto umano. Se dimentichiamo questo, smettiamo di investire su quella che è invece l’unica risorsa essenziale. Sta già accadendo e non da ieri.