Il ministro Bianchi vuole riformare l’orientamento. Coerente con la sua impostazione… Forse nella scuola non c’è ambito più intriso di ideologia e di falsa coscienza dell’orientamento. Si trova stretto tra due opposte e inconciliabili esigenze: l’ostentazione di una cura quasi materna attenta a sviluppare il potenziale di ciascuno e a indirizzare ciascuno proprio e soltanto nella sua strada, quella per la quale è nato ed è “dotato di talenti”. Sull’altro versante c’è il mondo delle imprese, soprattutto di quelle che sanno fare la voce grossa nel pretendere che la scuola confezioni loro esattamente ciò che serve loro e nella giusta quantità. Su questo versante pesano inoltre le politiche del lavoro e relative leggi di riforma neoliberista in direzione di una costante precarizzazione e parcellizzazione del lavoro. “… l’orientamento rappresenta un processo formativo continuo, una “educazione alla scelta”, che accompagna la persona lungo tutto il corso della sua vita” (P. Bianchi)
Sono almeno 20 anni, dal Nuovo Obbligo Scolastico di Berlingueriana memoria, che si parla di lifelong learning, versione da libro Cuore di quello che nel frattempo i giuslavoristi stavano cucinando per i giovani: lavoro precario, senza tutele, interstiziale e parcellizzato. La versione ufficiale alludeva al fatto che i nuovi lavori avrebbero richiesto nuove competenze, ma se andiamo a valutare quantitativamente e qualitativamente quali cambiamenti siano davvero avvenuti nell’universo lavorativo, scopriremo che gran parte delle mansioni sono le stesse da decenni e che, ahimé, non servono nuove competenze per passare da una cooperativa esternalizzata di carico-scarico merci a un’altra che fa lo stesso lavoro a costi inferiori sfruttando maggiormente i lavoratori.