Un intreccio pericoloso
I giornali di oggi parlano di Tobias Rathjen, 43 anni, che mercoledì notte ad Hanau ha massacrato a colpi di fucile nove persone nei due “Shisha-bar” frequentati dalla comunità curda, prima di spararsi un colpo in testa, dopo avere ucciso la madre 72enne nel suo appartamento.
Nove morti innocenti nel nome dell’ideologia neonazista. Comodo e manipolatorio il tentativo delle forze politiche di estrema destra di avvalorare l’ipotesi di un gesto di follia, ma sarebbe altrettanto semplicistico e rassicurante inquadrare l’accaduto in una matrice esclusivamente politica.
Temo che, purtroppo, si verifichi (non certo per la prima volta) un intreccio inestricabile tra una certa area di disturbi della personalità e contenitori strutturati di natura ideologica che sembrano dare una risposta pseudo-terapeutica ai quesiti e al malessere di coloro che ne sono portatori.
Tobias Rathjen rappresenta una di queste tipologie: un uomo di 43 anni solo, istruito, metodico, che non ha rapporti con una donna da 18 anni e che, dopo avere massacrato nove persone ai suoi occhi colpevoli di esistere, si chiude in casa, uccide la madre e si suicida.
Come si arriva a diffondere questa nebulosa di personalità malsane? Non c’è una risposta unica e compiuta, ma certo da quasi un secolo in Occidente il modo di diventare uomini e donne è stato completamente rivoluzionato. Dobbiamo ammettere che la costruzione di una mente, forse anche di un cervello dotato di equilibrio, empatia, capacità di autocontrollo e di attenzione richiede processi sottili che sfuggono alle osservazioni troppo superficiali e riduzioniste. C’è voluto tempo per vedere i frutti maturi di questa rivoluzione: crescono masse di individui malformati dentro, impauriti, carichi di odio e di desideri di rivalsa, afflitti da un vasto senso di perdita e di depauperamento, desiderosi, semplicemente, di agire la propria distruttività verso i più deboli. Non faticano a trovare nicchie ideologiche che diano corpo e una sorta di legittimità ai loro bellicosi moti interiori: non odiano qualcuno, odiano tutto, perfino sé stessi. Anzi, all’odio di sé sono stati educati proprio dal loro mondo, ma avvertono forse una specie di sollievo (patologico) quando qualche teorico neonazista indica loro la possibilità di odiare precise categorie di persone.
L’attentato di Hanau come tanti altri non è dunque affatto l’opera di un folle, ma appartiene certamente a un piano politico. Dobbiamo però preoccuparci dell’enorme esercito di volontari su cui questo piano può contare, e quell’esercito non è opera dei neonazisti ma della ricca, anomica, atomizzata società occidentale. È un nostro prodotto.