Scuola: le dispersioni bianche e il vulnus della ricrescita

Perché tanta ingratitudine verso la didattica a distanza (DAD), che ha contribuito a limitare i danni dell’emergenza? Dovremmo piuttosto ringraziare tutti coloro che si sono impegnati nella DAD perché è stato l’unico modo di conservare un’idea di scuola e di tracciare un argine al nulla che la chiusura totale rischiava di provocare. Il guaio semmai è che tante realtà scolastiche a tutt’oggi non hanno nemmeno iniziato la DAD. Dove si è attivata la DAD si sconta comunque un grosso divario tra alunni in grado di fruirne adeguatamente e altri che invece lo hanno potuto fare poco, o male, o per nulla a causa di svariate ragioni economiche, familiari, e tante altre ancora. Ci sono insegnanti volenterosi che si sono adoperati per raggiungere e ove possibile abbattere queste difficoltà, e altre realtà dove ci si è limitati a prendere atto di una mancata partecipazione alla DAD, come se non fosse scuola, e invece lo è. 

Ecco un nuovo triste fenomeno, chiamiamole dispersioni bianche. Sono diverse dalle dispersioni scolastiche che abbiamo conosciuto finora: non fanno rumore e muovono solo qualche bit nella gestione delle riunioni digitali. Talvolta nemmeno si notano. 

Dove vanno i dispersi bianchi? Per ora, ne siamo certi, sono ancora chiusi in casa o cominciano a mettere timidamente il naso fuori. Chissà se li ritroveremo a settembre in una riapertura nella quale a tutt’oggi prevalgono le incertezze. Per molti di loro sedere sui banchi di scuola accanto a coetanei più o meno fortunati rappresentava probabilmente un aggancio con il mondo e la realtà esterna che bilanciava le carenze, le difficoltà e i problemi presenti tra le pareti domestiche. La didattica la distanza li ha persi, senza volerlo deliberatamente, ma purtuttavia li ha persi. 

Sarà un arduo lavoro riportare i dispersi bianchi a scuola a settembre, in un ritorno tuttora pieno di incognite. Il silenzio che proviene finora dalla task force governativa sulla scuola non fa ben sperare.

Dalla task force ci si aspettano idee, scenari e soluzioni, e sappiamo già che sono soluzioni che costano, ma certo non è compito del gruppo trovare i fondi. Mi auguro solo che non sia stato dato mandato alla task force di trovare soluzioni a costo zero, e dunque inesistenti, il che ne spiegherebbe il silenzio.

Proprio mentre mi domandavo quali idee e quali scenari il gruppo di esperti stesse delineando, mi sono imbattuto in una sintesi giornalistica che riportava virgolettate le parole di un membro illustre della task force, Daniela Lucangeli. Forse, dopo averlo letto, penso fosse preferibile il silenzio. Afferma: “dobbiamo aiutare gli insegnanti che rientreranno in classe a capire il processo di autoregolazione delle emozioni”. Davvero è questa la priorità? Sembra che l’esperta viva ancora nel mondo fatato dei suoi accorati appelli ad abbracciarci e sentire quanto sono belle le emozioni. Evidentemente vive in un mondo diverso dal nostro, forse addirittura in un pianeta diverso dal nostro.

Qui serve sapere come reperire e/o costruire locali in più per sfoltire le classi, come reclutare insegnanti, come gestire ingressi e uscite magari con modifiche agli edifici, eventualmente anche come integrare il tutto col minimo indispensabile di didattica digitale per snellire il lavoro. Ma a metà maggio non appare all’orizzonte nessuna idea di come riportare tra i banchi migliaia di studenti, mentre sappiamo molto di più su come i parrucchieri si organizzeranno per lenire finalmente il vulnus della ricrescita.