Test psicologici ai magistrati 

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Una questione delicata per l’etica della professione psicologica

La professione psicologica viene sempre più spesso chiamata in causa in molteplici contesti: emergenze di ogni tipo, scuole, sport, e ora (in ipotesi) per accertare l’idoneità degli aspiranti magistrati. A dire il vero la società si serve da molto tempo di professionisti della psicologia anche per altri scopi meno nobili, come già sosteneva J.B.Watson affermando che la ricerca psicologica può fornire strumenti e strategie a politici e industria per far funzionare le cose (e le persone) a loro vantaggio. Una esplicita dichiarazione di complicità. Siamo nel 1913. Più di recente lo psicologo James E. Mitchell è stato interrogato durante il processo militare sulle torture nel centro di detenzione di Guantanamo e in quella sede non solo ha ammesso di aver utilizzato le sue conoscenze per torturare i prigionieri, ma ha aggiunto anche che, potendo, l’avrebbe fatto di nuovo.

La professione psicologica sembra essere sempre più spesso chiamata in causa nella gestione di un’infinità di questioni anche piuttosto controverse. Una parte della categoria degli psicologi potrebbe senntirsi lusingata e felice di questo ruolo sempre più rilevante. Credo di appartenere a quella parte della categoria che guarda invece con una certa preoccupazione le crescenti minacce all’autonomia dello psicologo, un punto richiamato anche nel nostro codice deontologico (art 6) e ribadito anche (art 32) per i casi in cui il committente di un intervento non coincide con il destinatario. Ne è un esempio l’eventuale applicazione di test psicometrici agli aspiranti magistrati: questi ultimi sono i destinatari dell’intervento mentre il committente è lo Stato, forse più precisamente il Ministero di Giustizia.

Come recita il nostro Codice deontologico (art 32): “In tutti i casi in cui la persona destinataria ed il committente non coincidano, la psicologa e lo psicologo tutelano prioritariamente la persona destinataria dell’intervento stesso.” Nel caso della valutazione psicometrica dei magistrati sembra che si voglia tutelare piuttosto una serie di interessi non meglio definiti ma non certo coincidenti con i destinatari dei test stessi. Una condizione complessa, ulteriormente complicata dal dettato del nostro articolo 6: “La psicologa e lo psicologo accettano unicamente condizioni di lavoro che non compromettano la loro autonomia professionale ed il rispetto delle norme del presente codice […e] salvaguardano la loro autonomia nella scelta dei metodi, delle tecniche e degli strumenti psicologici, nonché della loro utilizzazione; sono perciò responsabili della loro applicazione ed uso, dei risultati, delle valutazioni e delle interpretazioni che ne ricavano.

Dal potenziale provvedimento che prevede test psicometrici ai magistrati risulterebbe un mandato allo psicologo di accertare una serie di requisiti che in linea di principio dovrebbe essere la legge, e non il professionista, a determinare, ma ritenendo lo psicologo stesso ancora responsabile perfino dell’applicazione e dell’uso dei risultati di questi test. Ritengo che, qualora questo provvedimento divenisse operativo, e il nostro Ordine nazionale sarebbe chiamato a chiarire e ribadire molti limiti nelle possibilità di realizzarlo concretamente; ho descritto qui alcuni di questi limiti, ma ve ne sono altri relativi alla attendibilità e alla scientificità dei test eventualmente impiegati a questo scopo. Su questo ha scritto autorevolmente Santo Di Nuovo in questo articolo che condivido in pieno.