Psicofarmaci: che fare?

Tempo di lettura: 13 Minuti
Ti hanno prescritto (o consigliato di farti prescrivere) psicofarmaci ma non sai se prenderli o no. Ecco una guida documentata ricca di informazioni utili.

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Raccolgo molti racconti di persone che si sono rivolte a una figura medica per trovare rimedio a una loro condizione mentale problematica. Il più delle volte, dopo un colloquio che può durare mediamente da qualche minuto a mezz’ora, quella persona esce dalla visita con una ricetta di psicofarmaci. 
Spesso non si reca direttamente in farmacia, ma lascia passare un po’ di tempo. Un modo per usare bene quel tempo è leggere un libro: Kit di sopravvivenza per la salute mentale di P.C. Gøtzsche1. (cliccando sui numerini vicino al nome di un autore o a una citazione potrai vederne la fonte).

Comprendo che leggere un intero libro possa essere impegnativo, così ho pensato di preparare questa pagina molto più sintetica che può aiutare a prendere decisioni responsabili rispetto alla propria salute e alla propria salute mentale.
Ho imparato, ascoltando le persone, che in quel tragitto dall’ambulatorio alla farmacia sorgono domande più o meno comuni a tutti, e che ho riassunto in una FAQ. Se hai una domanda che non trovi qui, scrivimi.

Ne ho veramente bisogno?

La domanda sembra prevedere un sì o un no, ma non è così. Per estrarre un chiodo potresti avere a disposizione tenaglie, pinze, e un martello da carpentiere. Non hai veramente bisogno di nessuna delle tre cose, hai veramente bisogno di estrarre il chiodo, e la cosa riuscirà meglio utilizzando lo strumento più adatto.

La soluzione che stavo cercando sta davvero in queste pillole?

La risposta precedente chiarisce che di fronte a un problema non si cerca uno strumento specifico, ma un rimedio efficace e non dannoso. La domanda chiave dunque è se l’assunzione di psicofarmaci sia una soluzione e sia anche la migliore. Di sicuro ce ne sono anche altre! P. Gøtzsche sostiene che anche il non fare nulla, cercando di continuare a vivere e di accettare un periodo di malessere, possa essere una soluzione migliore dell’ingresso nella gestione della salute mentale, con farmaci e diagnosi. Anzi, egli afferma che si dovrebbe fare il possibile per non avere una diagnosi2. Le risposte successive ti forniranno elementi di riflessione per trovare la tua risposta.

Se decido di non iniziare con i farmaci quali alternative ho?

Per la maggior parte dei problemi psichici rivolgersi a uno psicologo o a uno psicoterapeuta è senz’altro la prima opzione anche solo per orientarsi sul da farsi. Tieni anche presente che i risultati di molte ricerche convergono su un punto: che la psicoterapia si è rivelata pressoché sempre efficace a breve termine almeno quanto gli psicofarmaci ma senza i loro effetti collaterali; a lungo termine la psicoterapia acquista altri meriti poiché le ricadute sono assai meno frequenti così come l’insorgenza di complicanze e nuove diagnosi.

Ho una ricetta di psicofarmaci: sono malata/o? E se sì, di che cosa?

Nella salute mentale “avere una diagnosi” non significa “avere una malattia” (per le malattie del corpo invece è sostanzialmente così). Le diagnosi psichiatriche sono insiemi di sintomi che statisticamente ricorrono, ma non definiscono affatto una malattia unitaria, non esistendo una diversa e fondata definizione di essa. In medicina “avere la mononucleosi” significa essersi infettati con quel virus; i sintomi possono essere anche variabili, ma una è la malattia perché una è la causa (il virus). In psichiatria non troviamo nulla di tutto ciò, e se qualcuno sostiene il contrario è male informato o in malafede. Nei lavori preparatori per la quinta versione del DSM (Manuale Statistico Diagnostico alcuni componenti hanno scritto: «Tutte queste limitazioni dell’attuale modello diagnostico suggeriscono che una ricerca concentrata esclusivamente sul perfezionamento delle sindromi definite dal DSM-IV non sarà mai in grado di far luce sulle loro sottostanti eziologie. Perché ciò accada potrebbe essere necessario far ricorso a un modello diagnostico ancora sconosciuto3

Gli psicofarmaci danno dipendenza?

Se intendiamo con “dipendenza” qualcosa di simile a quella da alcol, eroina e simili, in definitiva questo tipo di rischio si pone fortemente pressoché solo per le benzodiazepine, come correttamente indicato sui rispettivi bugiardini. Se invece la domanda riguarda la possibilità di sospendere un trattamento senza conseguenze, le cose cambiano molto. Esiste una ricca letteratura dia ricerca sugli antidepressivi SSRI che concorda sul alcuni fatti, ovvero che sospendendo una antidepressivo ci sono sintomi di astinenza e che perciò esso va scalato con molta gradualità. Se hai pazienza, ti riporto qui sotto alcune citazioni dalle ricerche originali.

Leggi conclusioni di alcune ricerche originali

Le attuali principali linee guida di pratica clinica forniscono scarso supporto per i medici che desiderano aiutare i pazienti a interrompere o ridurre gli antidepressivi in termini di mitigazione e gestione dei sintomi di astinenza. Pertanto, non si può concludere che i pazienti che sono peggiorati seguendo le attuali linee guida sulla riduzione e la sospensione degli antidepressivi hanno avuto una ricaduta. Una migliore guida richiede migliori studi randomizzati che indaghino sugli interventi per l’interruzione o la riduzione graduale degli antidepressivi.
(orig: Current major clinical practice guidelines provide little support for clinicians wishing to help patients discontinue or taper antidepressants in terms of mitigating and managing withdrawal symptoms. Patients who have deteriorated upon following current guidance on tapering and discontinuing antidepressants thus cannot be concluded to have experienced a relapse. Better guidance requires better randomised trials investigating interventions for discontinuing or tapering antidepressants.)4
Un paziente su cinque ha interrotto bruscamente la terapia con SSRI nella pratica clinica. L’interruzione improvvisa ha causato un aumento maggiore del numero di sintomi di interruzione rispetto alla riduzione graduale. Si consiglia pertanto di ridurre gradualmente la terapia SSRI nella pratica clinica per prevenire effetti avversi non necessari dell’interruzione.(Orig: One in five patients abruptly discontinued their SSRI therapy in clinical practice. Abrupt discontinuation caused a larger increase in the number of discontinuation symptoms than tapering. We therefore advise tapering SSRI therapy in clinical practice to prevent unnecessary adverse effects of discontinuation)5
“Tutte le classi di farmaci prescritti per trattare la depressione sono associate a sindromi di astinenza. La sindrome di astinenza da farmaci SSRI (Inibitori Selettivi della Ricaptazione della Serotonina) è frequente e può essere grave, il che potrebbe costringere i pazienti a ricominciare col farmaco. Nonostante la sindrome di astinenza possa essere distinta dalla recidiva della patologia sottostante, essa può venir scambiata per recidiva, portando a una assunzione del farmaco a lungo termine senza che ciò sia necessario. Le linee guida raccomandano di scalare il farmaco rapidamente, in un tempo tra le 2 e le 4 settimane, fino alla minima dose terapeutica […] Scalare i farmaci lungo l’arco di mesi e scendendo molto al di sotto della minima dose terapeutica ha mostrato maggiore successo nel ridurre i sintomi da astinenza. […] Noi quindi suggeriamo che i farmaci SSRI vengano scalati lungo una curva iperbolica, scendendo lentamente fino a dosaggi molto al di sotto del minimo terapeutico, in linea con i regimi a scalare di altri medicamenti associati con sintomi di astinenza. I sintomi di astinenza saranno così ridotti al minimo”. Horowitz 20196

L’idea di iniziare ad assumere psicofarmaci mi spaventa. E’ irrazionale questa paura?

Avere paura di qualcosa non è in sé né giusto né sbagliato: dipende! Per quanto riguarda l’uso di psicofarmaci ci sono motivi ragionevoli di avere paura, gran parte dei quali sono già ben descritti nei bugiardini dei farmaci stessi! (vedi qui un esempio) Dunque la prima cosa da fare è cercare sul web il foglietto illustrativo (detto “bugiardino”) di ciascuno dei farmaci che ti hanno prescritto e leggerlo attentamente, magari con l’aiuto di una persona esperta che ti “traduca” eventuali punti difficili. Il cambio di vita farmaco/non-farmaco  è tutto qui: prima sei una persona che soffre di un disagio psichico, dopo ti porterai dietro una “diagnosi” e sostanze chimiche che alterano molte funzioni del tuo corpo e del tuo sistema nervoso, e che, anche una volta sospesi i farmaci, richiederanno tempo e attenzione medica per tornare all’equilibrio precedente.

Ho letto il foglietto illustrativo dei farmaci che mi hanno prescritto: la quantità di effetti collaterali mi ha impressionato. Devo prenderli sul serio?

Tutti i farmaci hanno effetti collaterali ma indubbiamente alcuni più di altri per la vastità dei sistemi corporei nei quali producono effetti. Ribadisco ancora che  la prima cosa da fare è cercare sul web il foglietto illustrativo (detto “bugiardino”) di ciascuno dei farmaci che ti hanno prescritto e leggerlo attentamente, magari con l’aiuto di una persona esperta che ti “traduca” eventuali punti difficili. Come per tutti i farmaci i possibili effetti collaterali vengono suddivisi per probabilità e naturalmente devi temere assai di più gli effetti comuni o molto comuni rispetto a quelli più rari. In ogni caso gli effetti descritti nel bugiardino vanno sempre presi sul serio e credo si debba diffidare di un clinico che ti invita a minimizzarli. Va tenuto presente che a seconda delle molecole che assumi alcune conseguenze vanno comunque messe in conto: a seconda della famiglia di molecole va preventivato un calo netto del desiderio sessuale, oppure un certo ottundimento e rallentamento cognitivo, oppure un aumento del peso corporeo. In alcuni casi vanno messi in conto anche pensieri suicidi o autolesionisti, oppure al contrario stati maniacali di eccessiva euforia (vedi questo esempio). Alcune molecole, inoltre, compromettono la regolazione di determinati ormoni corporei e richiedono un monitoraggio frequente dei rispettivi livelli nel sangue.

Ma questi farmaci saranno davvero efficaci?

Come ci spiegano ampiamente P. Breggin7 e P.C. Gøtzsche8, gli psicofarmaci non curano alcuna malattia: sono molecole che creano una situazione nuova nel sistema nervoso, dalla quale ci aspettiamo sollievo per determinate condizioni. Particolarmente chiaro è l’esempio di Breggin sui cosiddetti stabilizzatori dell’umore: «stabilizzazione dell’umore è un eufemismo per indicare la soppressione di tutta la reattività emozionale. I pazienti sono meno in contatto con sé stessi, sono meno in grado di esprimere i loro sentimenti e sono in parte apatici9». In questo senso possiamo aspettarci un minimo di efficacia: nella soppressione, o meglio ancora nel nascondimento dei sintomi precedenti. Questa soppressione e questo scarso contatto con le proprie emozioni, tuttavia, sopprimono il sistema interno di segnali emotivi e scoraggiano il senso di padronanza personale del paziente. Questo, talvolta, rende anche difficile portare a termine una psicoterapia efficace con un paziente che letteralmente non sente le proprie emozioni. Leggi alcune considerazioni di P. Breggin.

Per quanto tempo dovrò prenderli? Potrò sospenderli quando voglio?

Temo che l’unico modo certo di avere il controllo sul tempo di assunzione di psicofarmaci sia non iniziare a prenderli. Una volta stabilizzato l’uso di certe molecole, il sistema nervoso si assesta su un nuovo equilibrio a partire dalle alterazioni introdotte dalla sostanza. Se si sospende l’uso della sostanza, specie se lo si fa bruscamente, si verificano fenomeni di astinenza, che troppo spesso viene scambiata (o, peggio, spacciata) per recrudescenza della “malattia”. Sospendere uno psicofarmaco dopo mesi o anni di assunzione richiede tempo, uno scalaggio molto lento e attento dei dosaggi, e può implicare la sopportazione di fasi di astinenza che possono essere anche piuttosto gravose. Di fronte a questo, purtroppo, molti si convincono a tornare al farmaco, quando non anche a ulteriori prescrizioni di altre molecole. Scambiare sintomi di astinenza per ricadute rende facile dire al paziente: “vedi, le medicine ti servono, senza di loro stai male…”. Leggi questo approfondimento, anche e soprattutto se stai già assumendo farmaci, in particolare SSRI.

È vero che il mio malessere dipende da uno squilibrio chimico che il farmaco rimette in equilibrio?

La cosiddetta teoria dello squilibrio chimico è stata in parte una ipotesi di lavoro per i ricercatori di qualche decennio fa, ma oggi nessun ricercatore la riterrebbe ancora credibile; essa sopravvive però molto bene come argomentazione a favore del trattamento del disagio psichico con psicofarmaci, pur non potendo più contare su alcuna seria prova scientifica. La risposta di J. Moncrieff sintetizza bene la risposta: «Molti pazienti sono indotti a credere, dai loro medici e dalla pubblicità, che gli antidepressivi agiranno sulla causa biologica del loro stato depresso, riaggiustando uno “squilibrio chimico”. Al contrario, la nostra analisi indica che non esistono farmaci specificamente antidepressivi, che gran parte degli effetti a breve termine degli antidepressivi sono sono comuni a molti altri farmaci, e che il trattamento farmacologico a lungo termine con antidepressivi o con ogni altri tipo di farmaci non si è dimostrato capace di condurre a un innalzamento dell’umore a lungo termine. Noi suggeriamo che il termine “antidepressivo” dovrebbe essere abbandonato.10. Una serie di studi sulla popolazione danese sembra confermare che dopo la prima prescrizione di psicofarmaci, il problema tende a cronicizzare in almeno metà dei soggetti11.

Sul foglietto di uno dei farmaci che mi sono stati prescritti leggo che cura la schizofrenia. Il medico non mi ha detto nulla in merito. Cosa devo pensare?

Questo tipo di prescrizione di farmaci, che appartengono alla categoria dei neurolettici, per diagnosi diverse da quella autorizzata (la schizofrenia), è in verità molto comune. Di fatto gran parte di queste molecole nascono come sedativi maggiori che operano sulle parti del cervello che utilizzano dopamina come neurotrasmettitore. Nella mia esperienza clinica ho visto prescrivere neurolettici per una pluralità di usi accomunati dalla ricerca di una forte sedazione.
Se il tuo medico non ti ha informato correttamente dello scopo e della natura di questa prescrizione in tutta franchezza ti consiglio di cambiare medico. I neurolettici sono farmaci che hanno importanti effetti collaterali non solo durante l’assunzione ma a lungo termine, con disturbi del movimento che possono divenire anche molto gravi e invalidanti. Dovrebbe essere chiaro che è doveroso per il medico informare adeguatamente il paziente della molecola che gli sta consigliando, e anche del fatto che si tratta di una prescrizione tecnicamente definita Off Label ovvero: si prescrive un farmaco con indicazioni per le quali non è stato autorizzato all’immissione in commercio.

Mi è stato detto che psicologi e in generale figure non-mediche non dovrebbero esprimere pareri e valutazioni sugli psicofarmaci. E’ così?

Le figure non-mediche di certo non possono prescrivere farmaci o modificare le terapie in atto. Ciò premesso, rispondo a questa domanda con una citazione da P. Breggin12: “Agli infermieri, psicologi, assistenti sociali, consulenti e altri clinici che non prescrivono psicofarmaci è stato spesso insegnato che il loro compito è quello di spingere i pazienti ad adeguarsi e a rispettare il trattamento farmacologico prescritto. Questa concezione è basata su un modello autoritario della pratica medica in cui il medico si trova in cima alla gerarchia professionale e prescrive i farmaci, così come ci si aspetta che un giudice onnisciente amministri la giustizia. In questo modello obsoleto, si suppone che il paziente dipenda esclusivamente dal medico prescrittore quale fonte di informazione. Il clinico che non prescrive (psicologo, pricoterapeuta…) viene trattato come un professionista di seconda classe, il cui compito è quello di favorire l’obbedienza del paziente senza avere la possibilità di esprimere valutazioni indipendenti, giudizi o comunicazioni sui farmaci, al pari del paziente. Questo modello autoritario non è più perseguibile, né adeguato, né tanto meno etico da diversi punti di vista.

In primo luogo, nell’attuale era tecnologica, i pazienti e le loro famiglie non dipendono più solamente dai medici per le informazioni sulle terapie. […] Il dottore non è più come un Dio portatore di verità medica e farmacologica ne dovrebbe sperare o desiderare di esserlo. […] il concetto di obbedienza è stato sostituito con la scelta del paziente.

In secondo luogo non ha senso limitare i terapeuti chiedendo loro di agire come se avessero meno diritti dei loro pazienti di informarsi e di informare sui farmaci che Essi stanno prendendo la psicoterapia moderna richiede una relazione onesta e aperta tra paziente e terapeuta, e non un rigido rapporto predeterminato in cui il terapeuta è vincolato dal discutere apertamente della terapia con il paziente in ogni aspetto secondo le proprie conoscenze di base. Non è più sicuro, né efficace, né etico che i terapeuti (psicologo, pricoterapeuta…) siano costretti ad agire come meri esecutori della disciplina medica.

In terzo luogo, il prescrittore moderno vede il paziente raramente e per non più di pochi minuti. Da un punto di vista pratico, il medico prescrittore non è in una posizione ottimale rispetto al terapeuta o al paziente e la sua famiglia per osservare e valutare gli effetti che gli psicofarmaci stanno avendo sul paziente.


  1. Gøtzsche, Peter C., Kit di sopravvivenza per la salute mentale, Fioriti  Editore 2021 

  2. Gøtzsche, Peter C., Kit di sopravvivenza per la salute mentale, Fioriti  Editore 2021 

  3. Kupfer, D. J., First, M. B., & Regier, D. A. (Eds.). (2002). A research agenda for DSM-V. American Psychiatric Association 

  4. Sørensen A, Juhl Jørgensen K, Munkholm K. Clinical practice guideline recommendations on tapering and discontinuing antidepressants for depression: a systematic review. Ther Adv Psychopharmacol. 2022 Feb 11;12:20451253211067656 

  5. van Geffen EC, Hugtenburg JG, Heerdink ER, van Hulten RP, Egberts AC. Discontinuation symptoms in users of selective serotonin reuptake inhibitors in clinical practice: tapering versus abrupt discontinuation. Eur J Clin Pharmacol. 2005 Jun;61(4):303-7.  

  6. Horowitz MA, Taylor D. Tapering of SSRI treatment to mitigate withdrawal symptoms. Lancet Psychiatry. 2019 Jun;6(6):538-546.  

  7. Breggin, Peter R., La sospensione degli psicofarmaci – Un manuale per i medici prescrittori, i terapeuti, i pazienti e le loro famiglie, Fioriti  Editore 2018 

  8. Gøtzsche, Peter C.,  Psichiatria letale e negazione organizzata, Fioriti  Editore 2017 e Gøtzsche, Peter C., Kit di sopravvivenza per la salute mentale, Fioriti  Editore 2021 

  9. Breggin, Peter R., La sospensione degli psicofarmaci – Un manuale per i medici prescrittori, i terapeuti, i pazienti e le loro famiglie, Fioriti  Editore 2018 

  10. Moncrieff J, Cohen D (2006) Do antidepressants cure or create abnormal brain states? PLoS Med 3(7): e240. 

  11. Gøtzsche, Peter C. Long-term use of antipsychotics and antidepressants is not evidence-based. The International journal of risk & safety in medicine vol. 31,1 (2020a): 37-42.Gøtzsche, Peter C. Long-Term Use of Benzodiazepines, Stimulants and Lithium is Not Evidence-Based. Clinical neuropsychiatry vol. 17,5 (2020b): 281-283 

  12. Breggin, Peter R., La sospensione degli psicofarmaci – Un manuale per i medici prescrittori, i terapeuti, i pazienti e le loro famiglie, Fioriti  Editore 2018