Ho selezionato i quattro passaggi in cui compare il termine formazione nel discorso di Draghi.
- [mi chiedo se] non facciamo tutto il necessario per promuovere al meglio il capitale umano, la formazione, la scuola, l’università e la cultura.
- Infine è necessario investire nella formazione del personale docente per allineare l’offerta educativa alla domanda delle nuove generazioni.
- assicurarsi che tutti abbiano eguale accesso alla formazione di quelle competenze chiave che sempre più permetteranno di fare carriera – digitali, tecnologiche e ambientali.
- …rafforzando le politiche di formazione dei lavoratori occupati e disoccupati.
Come si può vedere, il termine appare pressoché privo di riferimenti, ossia non viene specificato quale formazione, su quali aspetti, per ottenere quali vantaggi e per chi. I soli destinatari esplicitati: il personale docente della scuola e i lavoratori occupati e disoccupati (generico al massimo grado). L’unico riferimento a uno scopo è: fare carriera. L’unica descrizione, anche questa assai generica, parla di competenze digitali tecnologiche e ambientali. C’è anche una implicazione non proprio elegante, ovvero che il personale docente e in generale i lavoratori non siano all’altezza. Si allude anche al fatto che il personale docente vada formato per allineare l’offerta educativa alla domanda delle nuove generazioni: ma che cosa significa? Anche qui la genericità è assoluta. Un’altra implicazione: la formazione è destinata ai lavoratori. Ai manager no? Ai dirigenti no? Non è strano?
Dietro queste affermazioni si intravede un principio non enunciato, ma sufficientemente chiaro:
se il soggetto X ricevesse una formazione adeguata, egli farebbe carriera, le nuove generazioni troverebbero lavoro, insomma, tutto, o quasi, andrebbe meglio.
Mi pare un principio la cui validità è perlomeno fortemente dubbia, ma pur tuttavia la seduzione del termine formazione sembra porre rimedio a tutto: chi mai potrebbe opporsi all’idea di “più formazione”? Quale individuo riottoso, vagabondo, arretrato e pigro potrebbe mai rifiutare una formazione che gli viene offerta?
Questo consenso così generale sembra voler rendere superflue domande invece sostanziali: quale formazione, su quali temi, richiesta da chi, destinata a chi, a vantaggio di chi?
Leggendo articoli, dichiarazioni e messaggi nei vari media si incontra un fenomeno curioso: dall’Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno un solo grido: “più formazione!”, ma la si invoca sempre per altre categorie, non per sé stessi. La “domanda” di formazione si rivela essere soprattutto una offerta, quando non anche una imposizione. Il dubbio, forte, è che la formazione finisca con lo svolgere una funzione quantomeno impropria:
produrre acquiescenza, uniformità e manovrabilità, e portare consenso e motivazione nei confronti delle istanze dei dominanti piuttosto che quelle dei dominati, dell’impresa piuttosto che del lavoratore, insomma di chi la formazione la vuole… per gli altri, sostenendo che sia per il loro bene.
Viene il sospetto, dunque, che nella neolingua tardo liberista la formazione sia uno strumento di governo e di dominio. In questo mondo confuso, dunque, tocca perfino spezzare una lancia contro l’idea che “più formazione” sia sempre un bene per chi la riceve.