Ci sono narrazioni che piacciono, ad esempio quella di un’Italia di vecchi che odia i giovani, non sopporta le loro abitudini sociali e li reprime con la scusa del contagio. Piace anche quella complementare dell’anestesista che non vuole tornare in corsia per un branco di ubriaconi imprudenti. Sono narrazioni che rassicurano gli uni e fanno arrabbiare gli altri, e dunque in definitiva confermano tutti nella propria opinione.
Sarà per il lavoro che faccio, ma a me vengono raccontate cose diverse. Serate vuote trascinate tra birra, mojito e Gin tonic, magari quando si può con l’ausilio di canne o di una pista di coca. Senza tutto questo, mi viene detto, il divertimento non c’è: c’è solo depressione e vuoto.
Non pretendo certo che quello che mi viene raccontato rappresenti l’intero fenomeno, ci mancherebbe. Giova però a tutti gli amanti delle narrazioni facili contemplare le schiere molto nutrite di adolescenti e giovani adulti che si trascinano tra un alcolico e l’altro, spesso con l’umore sotto le scarpe, cercando di divertirsi in qualche modo. Simmetrici ai ritirati in casa (altro grosso problema in crescita), i forzati dell’uscita non saranno tutti depressi con il cervello vuoto e le passioni tristi, ma gli smiling unhappy, gli infelici sorridenti, non sembrano essere così pochi anche se presentano un irrimediabile problema: siccome sorridono sono indistinguibili da coloro che sono veramente allegri.
Anche in questo caso il lockdown ha fatto da vernice rivelatrice del fatto che la normalità era (anche) il problema. Non facciamo le anime belle, fautrici della “libera scelta di sballarsi”: se è vero che l’uso di sostanze psicotrope è fisiologico e ubiquo nella condizione umana, dobbiamo ammettere che quando cresce troppo, e specialmente nei più giovani, è segno di un malessere che va intercettato e capito.
L’Islanda aveva un grosso problema con l’uso di alcol tra i giovani e. almeno fino a tre anni fa, lo aveva brillantemente ridotto al minimo. Il loro piano viene riassunto così:
«Spendere molto tempo di qualità a casa, fu uno dei pilastri del programma. Via le pubblicità di bevande alcoliche e fumo, e divieto di acquisto di sigarette per i minori di 18 anni e di alcol per i minori di 20 anni. Agli adolescenti di età compresa tra i 13 e i 16 anni fu imposto, inoltre, il coprifuoco alle 10 di sera in inverno e a mezzanotte d’estate. Ma, soprattutto, furono introdotte moltissime attività sportive e artistiche per permettere ai ragazzi di ‘fare gruppo’ e di ottenere quel senso di benessere psico-fisico che può dare una sostanza stupefacente. Tutti gli adolescenti furono inclusi nel programma, e per i meno facoltosi furono previsti degli incentivi statali.»
Stare a casa? Divieti? Coprifuoco? Proviamo a rispondere a una semplice domanda: gli islandesi odiano i giovani? O forse li odiamo più noi, lasciando i loro corpi sui divani e i loro cervelli vuoti e soli?
Dopo l’emergenza Covid noi italiani finiamo col tornare ad un’altra amabile normalità: dibattere su falsi problemi e fingere di non vedere quelli veri. E ancora una volta era proprio la normalità, il problema.